La dimenticata cultura dell’accoglienza con i nostri deserti Centri Storici

La nomina della Boldrini, portavoce ONU per i rifugiati politici,alla Presidenza della Camera dei Deputati ripropone il tema della cultura dell’accoglienza anche in Basilicata.

Qualche anno fa il sanguigno prof Aldo Masullo riproponeva a modo suo la “questione civile “.

Stiamo naufragando in una limacciosa palude di parole.

La confusione si sa  impedisce anche alle migliori intelligenze di ragionare limpidamente.

In un momento dove si definisce l’attuale momento politico lucano “fase gerontocratica” confermato dal Rapporto Censis è difficile ipotizzare una qualsivoglia forma di solidarietà.

Eppure in Basilicata il tema resta scottante.

Aumenta costantemente ed irrimediabilmente la migrazione di interi nuclei familiari.

Nonostante la nostra caparbia volontà  che  immaginava  un futuro lucano a colori con i nostri Centri Storici zeppi di rilevante  presenza extracomunitaria, il lungo percorso della Consulta degli stranieri presso il Comune di Potenza  è caduta nel dimenticatoio subendo una sospettosa battuta d’arresto.

Il contesto  alimentato da  un presunto percorso di cittadinanza voluto dal Consiglio Comunale di Potenza e   che  si era  concretizzato dopo oltre due anni di ritardo non dà più segni di vita.

E’ inutile accusare di incuria o di insensibilità una  parte del Consiglio Comunale di Potenza.

Non vogliamo nè imputati nè presunti  “fans”.

Gli esempi del Comune di Torino e di altre città  del centroNord che hanno aperto  ai residenti “stabili”le loro liste elettorali già nel lontano 2001 ci fanno tanto riflettere.

Nonostante lo scandaloso calo demografico dei nostri piccoli Comuni Montani, lo svuotamento dei nostri Centri Storici e l’innalzamento patogeno dell’indice di vecchiaia (ultimo dato Censis) il cammino di un’integrazione di tipo organico stenta a decollare.

Non vi sono nè le volontà politiche di perseguire simili obiettivi, nè “sopprattutto” la concreta caparbietà di  risolvere il “problema del lavoro” di eventuali coppie di immmigrati giovani , pronte a “trasferirsi” nei nostri isolati e desertificati borghi natii.

Tutto deve restare terribilmente ai margini.

Tutta la maestranza extracomunitaria  deve essere assoggettata al cosiddetto “mercato di riserva”.

A tal proposito esiste per davvero  in Basilicata il “pregiudizio” nei loro confronti?

Un pregiudizio mai approfondito sind’ora.

Un pregiudizio tutto lucano che è, forse, l’anticamera di quella forma velata di  “xenofobia”,  che è molta accentuata nelle popolazioni cosiddette padane.

Ne è un esempio l’ira di alcuni  Sindaci del Nord riunitisi qualche anno  addietro  a Cittadella.

E’ difficile che l’immmigrato possa godere di stipendio , casa, e conoscenza perfetta della lingua.

Cominciano, fra l’altro, a veicolare siti e video, i primi, quelli svizzeri, che “disincentivano” l’esodo massiccio dopo l’ultimo massacro in una fabbrica del cantone francese.

Gian Antonio Stella ci ricorda, quasi quotidianamente, che siamo sempre stati un popolo di emigranti.

Un popolo di emigranti che annovera perfino il nostro caro Papa Francesco,originario piemotese.

Negli anni scorsi,  non abbiamo dimenticato la bella iniziativa,  dello stesso Stella, rivolta all’emigrazione meridionale,  nel “parco old” di Camigliano Silano.

Un suggello alla storia “sommersa” dei grandi esodi italiani (veneti compresi).

Tutto ciò ripropone il grande tema della cultura dell’accoglienza.

Struggenti e tristissimi momenti vissuti , purtroppo, anche in prima persona.

In un contesto “parolaio”, come il nostro, che Masullo definiva  di “farsesca teatralità”, bisogna invertire la rotta con un processo di vera discontinuità riproponendo la seria e dimenticata politica dell’accoglienza.

Una politica che  deve sempre tener conto di questo nostro vissuto, “dell’ammasso di carne umana” e del puzzo dei locali scarsamente igienici dove venivano esperite le visite mediche dei nostri emigranti.

Sono ricordi di un’infanzia greve e pesante che i figli degli emigranti lucani non hanno certo dimenticato.

Nella tolda del “Museo Narrante di Calabria” è stata ricostruita una camerata di terza classe riproponendo in un minuscolo spazio lo stesso “tanfo” di quegli anni.

E’ un chiaro esempio per i giovani e per accrescere in loro una forte sensibilità a riguardo.

E’ bello immergersi nei drammi di quei viaggi che nel passato erano nostri e che oggi sono “di altri”.

Chi ama quel tipo di italiani deve sostenere la cultura dell’accoglienza.

La nostra emigrazione è stata sì teatro e storia di tragedie, ma, anche e soprattutto, di integrazione e di crescita sociale e culturale.

Su queste basi dovremo costruire il nostro percorso di cittadinanza, senza pregiudizi e senza interventi di natura “caritativa”.

Un futuro che dovrà sempre più basarsi su valori e ruoli condivisi come quelli concretamente proposti da Controsenso e da tanti suoi autorevoli opinionisti.

Un futuro che fonda le proprie radici sulla partecipazione, sull’accettazione delle differenze etniche, culturali e sociali universali.

Non a caso  abbiamo alimentato per tanti anni rubriche a colori.

Rubriche accolte bene dall’opinione pubblica lucana per aver “infuso”” speranze e incoraggiato la formazione di una vera società lucana  multiculturale.

L’ultimo rapporto Censis  di qualche giorno fa oltre alla grave dispersione scolastica e alla patogena migrazione universitaria (compresa quella di mio figlio) ci riporta crudelmente e brutalmente alla realtà.

Il 47% dei lavoratori in nero  in Basilicata sono attestati agli extracomunitari.

Tale percentuale raffrontata con le altre regioni italiane  è una delle più alte.

Tutto ciò pregiudica la vera integrazione.

In questo modo cade l’ultimo mito della socialità e dell’ospitalità dei lucani.

E’ un dato che ci deve far riflettere seriamente sperando che la   vera saggezza gerontocratica  prenda il sopravvento su indifferenza ed egoismi, ormai desueti.

mauro.armando.tita@alice.it

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