Il Piano Sud del Governo Monti per la Basilicata è una vera boutade.
Una vera vergogna e un pugno in faccia inatteso e ingiustificato.
50 milioni di risorse per gli obiettivi di servizio, infanzia, anziani e giovani sono una goccia in un maredi estreme miserie e di estreme difficoltà.
E’ certamente una grave pecca del Governo Monti nei nostri confront che si ripercuote sulle presunte buone intenzioni e sulle promesse, non mantenute, del Ministro Barca.E’ una chiara anomalia del dibattito in corso condita da estrema riduttività.
Le preoccupazioni legittime dell’Unione Europea sui mancati investimenti si scontrano con una marea di difficoltà insolute da sempre nel nostro meridione.
La lettera del Commissario Hahn di qualche tempo fa sui piani regionali riferiti al Fesr 2007/2013 era allarmante, al Sud si era speso meno del 6%.
La Basilicata si attestava (per fortuna) almeno al 16,4 %.
Se il Sen Colombo,qualche tempo fa, ci confermava dalle pagine del Quotidiano che è del tutto assente la voce del SUD e in particolare quella della Basilicata, ora con questi provvedimenti ne abbiamo la certezza.
Non è più un problema di governi è una apocalisse culturale come soteneva il nostro grande Ernesto De Martino.
Se il SUD a un anno dalla scadenza del POR 2007/2013 non riesce a dare e fare una inversione di tendenza sul piano delle risorse economiche, professionali e manageriali vorrà dire che per i nostri figli non esiste alcuna certezza per il futuro.
Futuro del tutto BANDITO da una classe dirigente incapace di rinnovarsi e di competere con i mercati.
Siamo tanto lontani dal costruire quelle che Aldo Bonomi chiamava “coalizioni territoriali”.
Coalizioni territoriali costituite da pluralità di soggetti.
Purtroppo, ogni fallimento di natura produttiva e occupazionale nel Sud e in Basilicata, in particolare, ha avuto sempre una COMPLICITA’ locale.
Una complicità che si è espressa in sfacciati privilegi e sudditanze vergognose verso gli industriali del nord sia da parte del mondo politico e sia, soprattutto, da parte delle Banche locali.
Non è mai cresciuta un vero management, tutto lucano.
Siamo vissuti senza joint ventures e senza “indotti autoctoni”.
Lo sappiamo da sempre che siamo stati e resteremo MERCATO DI RISERVA del Nord.
Non si vuole certo semplificare, ma, aver prodotto per anni lo scempio del territorio e non aver puntato su settori strategici quali il turismo e l’ agro-alimentare è stato un vero suicidio delle classi dirigenti della prima Repubblica.
La disastrosa situazione dei Poli di Sviluppo industriali del Sud ripropongono l’attuale gestione commissariale dei vari Consorzi ASI e dei vari Distretti industriali ,mai decollati.
L’ultimo esempio di qualche anno fa è stato quello del fallimento totale del Distretto della corsetteria di Lavello.
Il già Presidente della Confindustria lucana Attilio Martorano in un’intervista a Rai 3 Basilicata, ci invitava a non inveire su probabili “imputati”, ma, ci obbligava a fare leva sull a competitività , sulla ricerca e sull’ammodernamento del nostro tessuto industriale.
Purtroppo, le tante nubi che si addensano sul futuro della Fiat Sata, e, questa incresciosa situazione delle ASI di Potenza e Matera, ci fanno riflettere seriamente.
Non abbiamo alcuna intenzione di infierire ulteriormente, lo abbiamo fatto nel recente passato del tutto inascoltati.
Vogliamo creare la transizione al post industriale.
Vogliamo superare la fabbrica fordista.
Vogliamo una regione che “investa” su alcuni seri imprenditori.
Vogliamo finalizzare i progetti , legati all’occupazione e all’ autopropulsione.
Una Basilicata “interna” che aveva riposto nelle sue risorse endogene, in primis, nelle “vocazioni della terracotta”, un indubbio volano dello sviluppo e della “speranza” non può essere emarginata.
Un esempio per tutti era costituito dai progetti di tipo agro- industriale e dall’artigianato artistico come riferito dall’amico Antonio Nicastro.
Una grande tradizione artistica non può consentire la chiusura di tanti laboratori artigianali in un momento critico per l’occupazione giovanile.
Dobbiamo riprendere i momenti di vera condivisione tra imprenditori, enti locali e maestranze per produrre atti e “fatti”concreti e, soprattutto, puntare sugli investimenti produttivi di natura artigianale.
Quello che viene definito da Centri Eccellenza una situazione di tipo “flat” si ripercuote sul futuro e sull’impossibilità di poter esercitare una qualsivoglia politica industriale rispettosa dei fattori che oggi , purtroppo, segnano il passo in modo irrevocabile.
A tutto ciò si assomma la disastrosa situazione debitoria dell’ASI di Potenza che potrà da sola sentenziare il “fallimento totale”.
E’ ormai risaputo che i mini interventi tampone non solo non risolvono il problema ma, ne procrastinano la soluzione.
La mancanza dei veri fattori industriali diventa in Basilicata e nel SUD sempre più sconcertante.
La competitività che in Basilicata non è mai stata presa in seria considerazione non può far leva sull’attuale approccio culturale, ormai desueto.
E’ una subcultura da rigettare completamente.. e ora più di prima è d’obbligo riprendere la vecchia ricerca del CENSIS, che lanciava per la Basilicata Moderna lo slogan : “Dal POSTO al PERCORSO”.
Ci eravamo illusi che la nuova stagione industriale della FIAT SATA e del Distretto del Mobile Imbottito potesse sopperire ai mali atavici della “gens imprtenditoriale” lucana.
Ci eravamo illusi che avremmo innescato da quel momento i tre pilastri della qualità dell’ambiente “macroeconomico”come l’efficienza della P. A., la macchina fiscale, l’accesso alla finanza “regolata”, l’adeguatezza dell’accesso alle nuove tecnologie e, soprattutto, alle vere infrastrutture.
Questi seri fattori di natura “martoriana” che non sono stati mai presi in considerazione e mai seriamente attivati ci pongono in una situazione di estrema inadeguatezza.
Inadeguatezza che può favorire per un altro decennio un ulteriore grande esodo giovanile.
Ci attende nei prossimi anni una fatica di natura “sisifiana” senza vere e concrete possibilità.
Dovremo riprendere, infine, il vero e serio cammino vocato alla competitività.
Una competitività che parta finalmente dalle nostre risorse endogene.
Solo, in questo modo, potremo ripensare ai “fattori” e illuderci che siamo integrati in un mercato “glocal” ,stanchi come siamo di aver favorito per decenni con la prima e la seconda repubblica, un presunto sviluppo, peraltro, senza alcuna AUTONOMIA e con una preoccupante economia bloccata da un lustro.
Distruggendo le nostre risorse endogene e favorendo un esodo giovanile biblico come in questo ultimo decennio si assiste pavidamente a un disgustoso decremento demografico conun relativo alto indice di vecchiaia (sempre puntualmente analizzato dal nostro Rosario Mancino), non più sopportato dalla bella e “sparuta” presenza della “gens montanara” lucana.
mauro.armando.tita@alice.it