L’angolo di Armando: Quando la sinistra amava il Mezzogiorno interno e la Basilicata

Con Mauro Armando Tita ci lega un’amicizia lunga quarant’anni. Ci legano passioni per la militanza nella sinistra riformista e qualche buona lettura sul Mezzogiorno italiano, oltre che -naturalmente- la cucina nostrana.

Quando la sinistra amava il Mezzogiorno interno e la Basilicata” è stata una delle sue ultime fatiche letterarie recensita da autorevoli esperti di economia e sociologia e con oltre 10mila like sul web. Armano Tita osserva il Sud con lo sguardo di chi sa che l’umanità sta vagando all’infinito ed in modo perenne. Sa che i suoi sogni si sono infranti come mosconi in inverno su vetri opachi e incrostati di sporcizia depositata da anni e anni di malversazione e bancarotta culturale. Dalle élite ai geometri, costruttori di speranze poi miseramente fallite tra le cambiali e i protesti, tra prefetture, burocrazia e segretari comunali.

In questo suo saggio, scorrono le immagini di una sinistra in perenne rincorsa, insieme all’utopia degli anni ’70, che fu cruciale per l’Italia e per la Basilicata.

I fermenti giovanili che la caratterizzarono, della voglia di mutarne i corsi e i nuovi approcci al settore dell’artigianato e l’agricoltura che divennero simbolo di una regione: cooperative e artigiani che avrebbero dovuto capovolgere il sistema del consenso imperante delle cementificazioni del potere.

Però Armando Tita ferma le immagini anche sulle cause del fallimento della industrializzazione: la piana del Basento cantata come la Silicon Valley o della Cassa del Mezzogiorno con che elargiva a prescindere.

A volte, e in modo provocatorio, gli ho suggerito di scrivere sull’abolizione del Sud italiano per sottrarsi dal rituale alibi dello sviluppo mancato e visto con gli occhi di Scotellaro e del levismo o peggio evocando “la Terra del rimorso”.

Non l’ho convinto. Non mancano però nella sua personale moviola della partita giocata col sacrificio e le rinunce, le immagini della corsa all’utopia di quel tempo. Il racconto della sua terra vista con gli occhi della gioventù poi persa. Quella degli autobus della speranza, quella dei figli scappati nelle città del benessere prêt-à-porter, quelli che si dividevano l’ultima Nazionale senza filtro e che aspettavano, tre giorni tre, per ricevere il fatidico si dall’amata signorina corteggiata da mesi sul corso cittadino.

Di qui il fuoco che alimenta intenzione e forza di un travagliato percorso, di una vera e propria indagine -sospinta dalla verità- tesa a scoprire e riscoprire menzogne e ipocrisie, dolori e misfatti, furbizie di ogni genere, laddove i poteri, piccoli e grandi, si dividevano lo Stato e i suoi apparati.

Armando gioca soprattutto a svelare le false sicurezze di cui è cosparso il cammino della contemporaneità. E non bastano certo le regole e le leggi, a nascondere i meandri e le sabbie mobili in cui inconsapevoli talvolta ci si muove.

Sembra la voce di un cantastorie, vero e insieme provocatorio, che scandisce il racconto di una vita, sua quanto di altri, come gocce capaci di dissetare chi davvero ha sete, chi ha ancora voglia di navigare malgrado il mare continuamente agitato.

Ecco perché, in definitiva, negli appunti del Sociologo di strada -come ama definirsi- l’ironia è capace di giudizi taglienti, di ruvide condanne e insieme di fiduciose ripartenze di pietà e di rigore.

Le conquiste e le sconfitte, gli amori e i disamori raccontati si confrontano leali e incessanti.

Giugno 2019

Mariano Paturzo

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