L’evento “Cinemadivino Basilicata” (bello l’acronimo) con la presenza di “Carlin” Petrini ci stimola e ci inorgoglisce.
La presenza capillare su tutto il territorio regionale di tanti siti agrituristici e il piacere di “mangiare fuori” tocca, ormai, tutte le categorie sociali lucane, non solo i giornalisti.
Provate a cenare con amici il Sabato sera a Potenza e hinterland . Non ci riuscirete. Tanti sono i locali “INTASATI”.Confermare con la presenza fattiva di Petrini gli investimenti in tale settore potrà certamente garantire un ritorno di immagine e un effetto moltiplicatore per l’intera economia lucana.
Qualche tempo fa avevamo auspicato tante “fattorie didattiche”.
Tanti piccoli Comuni investivano su queste ultime.
San Fele (oggi, Comune dissestato e Commissariato), forse, rappresentava il fiore all’occhiello.
Per queste ragioni non va tralasciato il ricettario della cucina autoctona di Valicenti.
Sarebbe stato anche bello riscoprire il “cibo” non solo come “bontà” ma, come “cultura”.
A Ilvo Diamanti che, in un articolo pubblicato su “Repubblica”, qualche anno fa definiva il cibo, come occasione di socialità, rispondiamo che, noi lucani, siamo i detentori degli “Stati Generali” della Socialità, della Qualità, dell’Ambiente, del Saper vivere e della Generosità.
Il successo degli anni scorsi dei progetti di Legambiente con le realtà interne sconosciute al grande pubblico lo confermavano sempre più.
Il rispetto del territorio e delle tradizioni è nel DNA dei lucani.
La qualità della vita in Basilicata si evidenzia, soprattutto, con i genuini prodotti biologici “tipici e unici”.
Non vi è agriturismo lucano senza specificità culinarie ed enogastronomiche.
Andava certamente in questa direzione il protocollo di Intesa tra ALMA e Provincia di Potenza di Vito Santarsiero.
I giovani lucani e tante famiglie hanno riscoperto il gusto di incontrarsi davanti ad un “piatto autoctono”.
I vecchi sapori e la tradizionale cucina lucana hanno impresso nelle nuove generazioni il culto del tempo libero e della socializzazione.
Socializzare con persone che degustano, cucinano e presentano piatti raffinati e reinventati ,seguendo metodi tradizionali, è sicuramente uno degli aspetti più interessanti per accrescere e incentivare il turismo lucano.
Negli ultimi tempi ci siamo accorti che la Basilicata è sempre più conosciuta per i suoi prodotti e per le brillanti perfomances dei suoi chef.
Quante volte ci siamo imbattuti nel gelato al fagiolo di Sarconi, nel risotto al Crisantemo, e in tutte le leccornìe derivanti dalle castagne, per citare alcune delle tante “qualità lucane”.
Proseguire sulla strada della “socialità a tavola” è sicuramente importante.
Essa rappresenta una delle componenti più remunerative e più condivise della nostra economia.
La grande affermazione del prodotto biologico lucano e la presenza di guide turistiche all’uopo preposte, devono far riflettere i tanti turisti che scelgono la Basilicata.
Mangiare bene, bere meglio e godere del particolare trattamento riservato all’ospite di turno rappresenta un fiore all’occhiello del turismo lucano.
Un rispetto sacrale che solo il contesto sociale ed ambientale lucano sa offrire al turista.
Speriamo che nei prossimi interventi di promozione turistica questo “aspetto sacrale” venga definitivamente riconosciuto.
A tal proposito, non va sottaciuto che le poche “fattorie didattiche ” lucane che si esprimono con tutti i loro strumenti cognitivi e il cibo tradizionale riconosciuto da grandi intellettuali e politici, potrebbero condizionare perfino alcuni “orientamenti” culturali.
Chi di fronte al buon piatto non si confessa e non si rivela (la Direttrice Serino su Facebook lo conferma davanti a tanti buoni piatti).
Il cibo che diventa cultura, spettacolo e comunicazione come riferito da Luigi Ceccarini non fa leva sui soliti noti, ma, il più delle volte sugli “ignoti”.
Gli ignoti che si trasformano in vere espressioni di rapporti di vera amicalità, di rispetto e di fiducia reciproca.
Quanti scambi di indirizzi, e-mail e numeri di cellulari quante foto taggate su facebook, dopo un bel pranzo.
E’ il miracolo della cucina.
La cucina che diventa piacere, partecipazione e passione per una società come quella lucana che si è liberata dal “bisogno”.
Un bisogno che non viene più avvertito, ma ,che ,putroppo, ancora, esiste in Basilicata.
Trasformare l’alimento come “elemento sociale” che si caratterizza e che si tramuta in vera solidarietà, potrebbe essere uno dei veri leit motiv del prossimo futuro.
Quante volte in questi ultimi giorni ci siamo imbattuti in volontari della Caritas diocesana.
La loro richiesta non è fatta solo di denaro.
La loro presenza davanti ai supermercati sono l’esempio vivente di un rovescio della medaglia che a fatica stentiamo a riconoscere.
Pur “contribuendo”, nel nostro piccolo, a raccogliere cibi, bevande e vivande non ci siamo ancora resi conto delle accresciute file di un esercito di “digraziati “che si ingrossa sempre più.
Sono i nuovi poveri come gli anziani soli, i licenziati cinquantenni, i disoccupati di lunga durata, i giovani in cerca di prima occupazione ecc.
Sono quei cittadini lucani che non fanno notizia perchè hanno grande dignità.
Sono quei cittadini che non chiedono perchè arrossiscono.
Sono quei cittadini che ignorano cosa sia un agriturismo e una fattoria didattica.
Sono quei cittadini che non si cimentano in disquisizioni su dove pranzare e cenare o acquistare prodotti enogastronomici della tradizione lucana.
Non a caso i movimenti e le missioni cristiane consci di questa cruda realtà, e, perennemente, alla ricerca della valorizzazione del gusto e della solidarietà sociale, sono sempre più presenti “nell’altro mercato”.
L’altro mercato in Basilicata è ai primi passi, ma, ha gia conosciuto, concretamente, fasi di contestazioni e di inquietudine contro le produzioni geneticamente modificate, che, per fortuna , hanno attecchito poco nella nostra agricoltura.
Una simile esperienza ci ha concretamente dimostrato che, la gastronomia e i prodotti tipici potrebbero costituire quel valore aggiunto, su cui seriamente ricercare la giustizia sociale e la felicità personale.
Potrebbero, infine, significare, non solo, una pratica filantropica e solidale, ma, una vera e propria partecipazione umana e cristiana rivolta agli “ultimi”.
Del resto se anche la rivista degli anni cinquanta “Problemi del Socialismo” di Lelio Basso pubblicò un inserto di Luigi Veronelli sulla “Gastronomia”, vorrà dire che il cibo che “tracima” dovunque nella nostra vita quotidiana e in ogni vetrina, può far scoprire valore, tradizione e territorio, anche a quei dignitosi cittadini lucani, conosciuti solo alla CARITAS diocesana, che difficilmente potrebbero competere e cucinare, con sapienza, come tanti nostri politici hanno “ben” fatto a Porta a Porta o nei Salotti vip.
Mauro Armando TITA