Da Lampedusa Papa Francesco con il suo severo ammonimento contro la “globalizzazione dell’indifferenza” ripropone il tema della cultura dell’accoglienza nelle società del cinismo e dell’opulenza.
In Basilicata la cultura dell’accoglienza segna il passo da secoli.
Le crisi industriali e i licenziamenti selvaggi hanno prodotto una chiusura spaventosa delle Organizzazioni volontaristiche (CRI in primis).Qualche anno fa il sanguigno prof Aldo Masullo riproponeva a modo suo la “questione civile ” italiana e meridionale, in particolare.
Stiamo naufragando in una limacciosa palude di parole. La confusione si sa impedisce anche alle migliori intelligenze di ragionare limpidamente.
In un momento di crisi strutturali di valori è difficile ipotizzare una qualsivoglia forma di solidarietà.
Anche in Basilicata dopo il grave monito di Papa Francesco a Lampedusa il tema resta scottante.
Nonostante la caparbia volontà di tanti opinionisti del Quotidiano che immaginano un futuro lucano a colori con i nostri Centri Storici zeppi di rilevante presenza extracomunitaria, il lungo percorso delle Consulte degli stranieri presso i Comuni lucani (Potenza in primis) è caduto nel definitivo oblìo.
Il contesto alimentato da un presunto percorso di cittadinanza che si era “concretizzato “con anni di ritardo non dà più segni di vita.
E’ inutile accusare di incuria o di insensibilità gli Amministratori Locali.
Non vogliamo nè imputati nè presunti “fans”.
Gli esempi del Comune di Torino e di altre città del centroNord che avevano aperto ai residenti “stabili”le loro liste elettorali nel lontano 2001 ci fa tanto riflettere.
Nonostante lo scandaloso calo demografico dei nostri piccoli Comuni Montani e lo svuotamento dei nostri Centri Storici il cammino di un’integrazione di tipo civile e solidaristico stenta a decollare.
Non vi sono nè le volontà politiche di perseguire simili obiettivi, nè “sopprattutto” la concreta caparbietà di risolvere il “problema del lavoro” di eventuali coppie di immmigrati giovani , pronte a “trasferirsi” nei nostri borghi natii.
Tutto deve restare terribilmente ai margini.
Tutta la maestranza extracomunitaria deve essere assoggettata al cosiddetto “mercato di riserva”.
A tal proposito in Basilicata esiste per davvero il “pregiudizio” nei loro confronti?
Un pregiudizio mai approfondito finora.
Un pregiudizio, tutto lucano, che è,forse, l’anticamera di quella forma velata di “xenofobia”, che è molta accentuata nelle popolazioni, cosiddette, padane.
Ne è un esempio l’ira dei Sindaci del Nord riunitisi qualche anno addietro a Cittadella.
E’ difficile che l’immmigrato possa godere di stipendio , casa, e conoscenza perfetta della lingua.
Cominciano, fra l’altro, a veicolare siti e video, i primi, quelli svizzeri, che “disincentivano” l’esodo massiccio (in controtendenza con gli strali di Papa Francesco).
Gian Antonio Stella ci ricorda, quasi quotidianamente, che siamo sempre stati un popolo di emigranti.
Negli anni scorsi, non abbiamo dimenticato la bella iniziativa, dello stesso Stella, rivolta all’emigrazione meridionale, nel “parco old” di Camigliano Silano.
Un suggello alla storia “sommersa” dei grandi esodi italiani (veneti compresi).
Tutto ciò ripropone, ancora oggi, il grande tema della cultura dell’accoglienza.
Struggenti e tristissimi momenti vissuti dai nostri emigranti.
In un contesto “parolaio”, tutto lucano, che Masullo potrebbe definire di “farsesca teatralità”, bisogna invertire la rotta con un processo di vera discontinuità riproponendo la dimenticata e seria politica dell’accoglienza lucana.
Una politica che deve sempre tener conto di questo nostro vissuto, “dell’ammasso di carne umana” e del puzzo dei locali scarsamente igienici dove venivano esperite le visite mediche dei nostri emigranti.
Sono ricordi di un’infanzia greve e pesante che tanti figli degli emigranti lucani (me compreso) non hanno certo dimenticato.
Nella tolda del “Museo Narrante di Calabria” di Gian Antonio Stella era stata ricostruita volutamente una camerata di terza classe che riproponeva in un minuscolo spazio lo stesso “tanfo” di quegli anni.
Era un chiaro esempio per i giovani meridionali e per accrescere in loro una forte sensibilità al riguardo.
Era bello immergersi nei drammi di quei viaggi che nel passato erano nostri e che oggi sono “di altri”.
Chi ama quel tipo di italiani deve sostenere la cultura dell’accoglienza.
La nostra emigrazione è stata sì teatro e storia di tragedie, ma , anche, e, soprattutto, di integrazione e di crescita sociale e culturale.
Su queste basi dovremo costruire il nostro percorso di cittadinanza, senza pregiudizi e senza interventi di natura “caritativa”.
Un futuro che dovrà sempre più basarsi su valori e ruoli condivisi come quelli concretamente proposti dal Quotidiano negli anni scorsi.
Un futuro che fonda le proprie radici sulla partecipazione, sull’accettazione delle differenze etniche, culturali e sociali universali.
Non a caso il nostro giornale qualche anno fa si fece promotore della bella rubrica “I colori del mondo” di Alessia Giammaria.
Una rubrica accolta bene dall’opinione pubblica lucana per aver “infuso”” speranze e incoraggiato la formazione di una vera società multiculturale.
I rapporti Censis di questi ultimi anni ci riportano crudelmente alla realtà.
Il 47% dei lavoratori in nero in Basilicata sono attestati agli extracomunitari.
Tale percentuale raffrontata con le altre regioni italiane è una delle più alte.
Tutto ciò pregiudica la vera integrazione quella agognata da Papa Francesco.
In questo modo cade l’ultimo mito della socialità e dell’ospitalità dei lucani.
E’ un dato che ci deve far riflettere seriamente e deve far riflettere la Chiesa lucana, sperando che il timido e riduttivo intervento della Caritas prenda il sopravvento sulla globalizzazione dell’ indifferenza e sugli assitenzialismi, ridotti al lumicino,ormai desueti.
mauro.armando.tita@alice.it