Articolo di Mario Atzori
(nella foto la copertina del libro di presentazione della mostra di Vetulonia)
A partire dalla fine del VII secolo a. C. la documentazione archeologica di cui disponiamo ci permette di capire in maniera abbastanza chiara e articolata come il mondo indigeno,presente nell’area geografica che chiamiamo “Lucania”, continua a trasformarsi non uniformemente e, di conseguenza, a rispondere in modo tutt’altro che omogeneo alle sollecitazioni culturali che venivano dal contatto con l’ambiente greco e tirrenico.
I siti arcaici conosciuti nell’area del melfese sono abbastanza numerosi: Ruvo del Monte, Pisciolo, Leonessa e Cucchiari di Melfi, Toppo D’Aguzzo, Ripacandida, Lavello e Banzi.
Sono quasi tutti insediamenti posti alle pendici di alture ad eccezione di quelli individuati nelle contrade di Leonessa e Pisciolo.
I rinvenimenti di Banzi e Ruvo del Monte documentano il perpetrarsi di un tipo di insediamento già riscontrato a Lavello con piccoli raggruppamenti di abitati con relative necropoli, separati fra loro e non difesi da alcuna fortificazione.
Gli scavi di Ruvo del Monte hanno portato alla luce una necropoli costituita da tombe a fossa rettangolare le cui dimensioni, in estensione e profondità, variano proporzionalmente all’età e al rango dell’inumato deposto sempre in posizione rannicchiata e, come in altre località della Lucania, sono tutte caratterizzate dalla volontà di esprimere accumulo, ricchezza.
Il modello che serve da referente è derivato da tradizioni greche di tipo principesco del periodo orientalizzante, che sono ormai un relitto, e in queste tombe “il prestigio è dato non tanto dall’assunzione coerente dei modelli culturali greci, bensì dal sacrificio di oggetti preziosi in contesti funebri individuali” (M. TORELLI).
Per la maggior parte, questi oggetti di prestigio, sono costituiti da vasellame di bronzo di produzione etrusca diffuso in queste aree interne da Capua a Pontecagnano, attraverso percorsi che sembrano seguire le valli fluviali (Calore – Sele – Ofanto).
Agli inizi dell V secolo a. C. risalgono le più belle tombe di Ruvo del Monte.
Cartina dell’Italia ai tempi degli Etruschi – Dauni ed Enotri
Il corredo è contrassegnato dalla presenza di spiedi e, essendo un uomo socialmente importante, dalle armi: ha inoltre numerosi oggetti di importazione, sopratutto vasi attici, rilevanti per le loro dimensioni e per la decorazione figurata; ad esempio un cratere a volute e una coppa skyphoide a figure nere che rappresenta la lotta di Eracle con il Leone di Nemea.
Sempre nell’ambito della Contrada Sant’Antonio provengono tre tombe “emergenti” della seconda metà del V secolo, con copertura monumentale in blocchi di tufo e una con cassa di legno alle cui pareti era appeso parte del vasellame.
Due di queste sepolture, maschili, sono caratterizzate dalle armi, tra le quali spicca in una, un arco in osso, vasi attici e protoitalioti e nell’altra, crateri e kylikes che costituiscono il servizio per il vino.
Particolare del “candelabro” di Ruvo del Monte raffigurante Eos e Kephalos
La tomba femminile ha restituito vasi in bronzo tra cui un bacile ad anse e decorazione incisa ed un candelabro decorato in cima da un gruppo raffigurante Eos e Kephalos.
Ed è proprio il candelabro di Ruvo del Monte uno degli oggetti “simbolo” della mostra tenutasi a Vetulonia (Grosseto) nei mesi scorsi.
La mostra è incentrata sui rapporti commerciali e culturali tra l’Etruria e le comunità dell’Italia meridionale, Enotri e Dauni.
Le vie fluviali e gli empori etruschi in Campania di Capua e Pontecagnano fungevano da interlocutori con le elite lucane che sviluppano sistemi e modi di vivere delle aristocrazie tirreniche e greche.
E Ruvo del Monte con la sua posizione geografica è uno dei punti di passaggio di questi itinerari (Sele – Ofanto) che “trasportano” i cambiamenti culturali, politici e sociali.
La capacità d’iniziativa di questi popoli nell’antichità ha favorito scambi commerciali, promosso forme di convivenza e accelerato processi culturali a differenza di oggi dove le nostre comunità e sopratutto le “amministrazioni” vivono nel torpore e nella inattività culturale e sociale.
La mostra di Vetulonia è stata una opportunità perduta da parte dell’amministrazione comunale poichè non esiste nessuna “comunicazione” con il Museo di Melfi; il “candelabro” oggetto archeologico conosciuto dagli addetti in tutto il mondo avrebbe potuto far da tramite per attrarre visitatori nella nostra bellissima terra.
Il candelabro di Ruvo della sua interezza