I minori non accompagnati e i bambini invisibili degli anni cinquanta

In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno scorso il Presidente Mattarella ha affermato che l’Italia è un significativo esempio in materia di accoglienza a livello europeo.

Nella stessa giornata la Gazzetta ha pubblicato il Report dell’Unicef/Basilicata e Prefettura di Potenza sui Minori non accompagnati. L’impegno dell’Unicef Basilicata d’intesa con la Prefettura è stato quello di garantire i diritti a tutti i minori ospitati nelle strutture lucane. Noi plaudiamo alle iniziative Unicef/Prefettura sebbene caratterizzate da soggiorni infiniti e da tanta stanca e routinaria quotidianità. Constatiamo amaramente che non vi sono…né strategia e né visione per il futuro, né, soprattutto, una seria applicazione della legge n. 47/2017. Auspichiamo, in tal senso, tanti progetti di inclusione sociale e tanti seri percorsi di integrazione, stanchi come siamo di vedere “bighellonare” noiosamente nei nostri Comuni tanti bravi ragazzi, senza entusiasmo e senza sorrisi.

In questi ultimi giorni in Tv e in tanti talk show è stato riesumato il caso emblematico dei bambini cosiddetti “invisibili”, i figli dei nostri lavoratori in Svizzera. Quei figli di emigrati italiani costretti a vivere “sottovoce”. Una pagina vergognosa di storia dell’emigrazione italiana che riemerge in un libro di Francesca Mannocchi: “Noi piccoli italiani clandestini” aventi per protagonisti Toni Ricciardi, Catia Porri ed Egidio Stigliano (originario di Nova Siri). Bambini invisibili costretti a subire la scellerata e razzista condotta dei Governi svizzeri degli anni cinquanta . Toni, Egidio e Catia hanno formato l’Associazione “Bambini invisibili”. Sono circa trentamila i bambini “sottovoce” che chiedono a distanza di sessant’anni un risarcimento morale e materiale alla Svizzera, senza aver mai dimenticato la silente e ignava condotta dell’Italia dell’epoca. Una “Italia” che ha chiuso gli occhi sui gravissimi e disumani comportamenti adottati sia dai Paesi europei che dagli Stati Americani. Comportamenti che hanno calpestato la legalità e stuprato il sacrosanto valore ai diritti umani di migliaia di bambini italiani. Più di tutto si negava il ricongiungimento familiare che è stata la vera causa della bruciante sconfitta di Trump. I terrificanti video del disumano distacco dei bambini messicani dalle loro madri ha fatto il giro del mondo ed ha atterrito la maggioranza silenziosa degli americani …che ha scelto Biden. Lo stesso dicasi del disumano distacco vissuto dalla mia generazione tra padri lontani e vedove bianche. Sono figlio di emigrante (mio padre partì negli anni cinquanta per il Venezuela con i fratelli De Luca, padre e zio del Governatore della Campania) e ritornò quindici anni dopo. Sono stato un fortunato. Decine di migliaia sono i lucani partiti negli anni cinquanta, migliaia sono le vedove bianche che non hanno più rivisto i loro mariti per “sopraggiunti” matrimoni “americani”. E’ una piaga, una ferita non ancora cicatrizzata, brutalmente rimossa dalla storia, dalla stampa e da una opinione pubblica smemorata. Spero che l’Associazione “Lucani nel Mondo” riscopra con un po’ di sensibilità questa ulteriore pagina amara della nostra emigrazione indecorosamente rimossa. Molti italiani e tanti lucani hanno formato nuove famiglie nei loro paesi di emigrazione dimenticando le mogli e i loro figli piccoli, lasciati ignobilmente nella solitudine e nella miseria. Le rassegnate vedove bianche hanno accettato questo terrificante “status quo” per rispetto dei loro figli, quasi vergognandosene. Sarebbe bello ridare la dovuta solidarietà alle tante madri lucane che hanno vissuto la loro “vedovanza bianca” con tanta dignità e con tanto pudore.

Sarebbe bello rivivere una giornata di ricordi e di solidarietà con i figli degli emigranti lucani degli anni cinquanta, oggi settantenni, in uno specifico Raduno della Regione Basilicata.

Siamo stanchi di essere “testimoniati” da persone che hanno vissuto l’emigrazione solo dai documentari e/o dalle Teche Rai. Chi non ha vissuto sulla propria pelle non potrà mai capire il dramma dell’emigrazione, delle vedove bianche, e, soprattutto, quel dramma che non si è mai ricomposto e mai sanato completamente nei rapporti padre/figlio/a.

Quante delusioni e quante amarezze per i figli di emigranti costretti a riconoscere da adolescenti o da adulti dopo decenni di lontananza l’ingombrante figura paterna del tutto estranea al nucleo familiare, ormai, consolidatosi nel tempo.

Oggi mi sento di fare un plauso alla Provincia Autonoma di Trento che ha posto in essere uno stupendo progetto di solidarietà ed ha raccolto la ricchezza delle storie di vita delle donne migranti nel Trentino .

Un Percorso che ha messo in evidenza l’intreccio costante tra migrazioni e vicende familiari e le difficoltà prima di tutto “emotive”. Le stesse difficoltà presenti pure nei ragazzi “protetti” dall’Unicef e dalla Prefettura di Potenza che da tempo immane vivono forse “traumaticamente” un rapporto affettivo che si è sciolto e un angosciante distacco dai loro familiari.

Armando Tita
Sociologo

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