DOPO IL LOCKDOWN, AMELIA SQUILLACE INVITA TUTTI AL “CAFFE’ GAMBRINUS” CON IL SUO NUOVO ROMANZO

Amelia Squillace, classe 1954, napoletana trapiantata a Ruvo del Monte, già finalista al 2° posto per la narrativa inedita, col racconto “L’acqua colorata”, al “Concorso artistico-letterario internazionale Engel von Bergeiche”, nel 2014, è tornata in libreria con la sua terza pubblicazione: “Caffè Gambrinus” (Delta 3 edizioni, Grottaminarda, giugno 2020, euro 10). Si tratta di un testo molto “smart” di sole 113 pagine, scritto in un registro linguistico essenziale, privo di sofismi e arzigogoli, che attinge alla realtà effettuale senza infingimenti. Infatti, il Caffè Gambrinus, che dà il titolo altisonante e l’input al romanzo, esiste veramente, è situato nella famosissima via Chiaia del quartiere omonimo di Napoli, ed è tra i primi dieci caffè storici d’Italia, dove <<seduti, aspettando una sfogliatella calda, ti avvolge un profumo e un aroma per la qualità del caffè che ti è servito (…)>>(pag. 7), da sempre frequentato da grandi attori, registi, cantanti, regnanti, Presidenti della Repubblica e poeti, come Gabriele D’Annunzio, che durante il suo soggiorno nella città partenopea, proprio lì scrisse con la matita, sui marmi dei tavoli, la famosa canzone in dialetto napoletano “La vucchella”, poi incisa dal grande Enrico Caruso.

I moduli espressivi, in effetti, sono scevri da inutili circonlocuzioni o giri di parole. I barbarismi sono quasi totalmente assenti, ben sostituiti da una lessicografia nazionale, autoctona, che facilita e velocizza la lettura tutta d’un fiato del testo, all’interno del quale, come a pag. 20, si alternano narrazione e poesia: << Scrivo./ Scrivo di me,/scrivo di te,/scrivo d’inchiostro,/scrivo con tasti./Catturo parole, /catturo pensieri, catturo la pioggia,/catturo la luna (…)>>. Una giustapposizione in un contesto autobiografico nudo e crudo che non lascia spazio alla mitopoiesi.

La genuinità del racconto, Leit-motiv della propria esistenza, articolata in una “first” ed una “second life”, corrispondenti, rispettivamente, alle prime nozze (napoletane) e al 2° matrimonio (ruvese), fa della Squillace una narratrice naif schietta e originale il cui verismo, come tra vasi comunicanti, si fonde alla fiction senza soluzione di continuità, dando voce ad un “io narrante” credibile e coinvolgente che supera i confini della realtà romanzesca.

Nonostante l’anagrafe dell’autrice non appartenga alla “millennial generation”, notevole è l’influenza dei “social” sull’interpunzione e sintassi. Tuttavia, absit iniuria verbo, il “punctum dolens” di questo romanzo “olistico” è rappresentato dal mancato “repulisti” dei refusi presenti, facilitati, come si sa, dalla scrittura elettronica “su tablet, seduta al tavolino del famoso locale”( come sembra confessare l’autrice stessa nell’incipit a pag.7), a causa dell’assenza, purtroppo, della figura decisiva dell’editor, in seno ai piccoli editori indipendenti. Ma ciò non inficia la godibilità e l’empatia che trasmette il plot narrativo, avvincente, al lettore di questo libro, che merita senz’altro un “caffè sospeso” proprio al Gambrinus (dove è nata questa tradizione, nel XIX sec.), ed un tuffo ristoratore nel golfo: ma quello di Squillace!

La presentazione in anteprima nazionale del romanzo, nel pieno rispetto delle misure anti Covid-19, è fissata al 23 luglio 2020, a Ruvo del Monte, presso il Centro sociale Arcobaleno, a cura del “Museo di Arte sacra, Civiltà contadina e Memoria storica ruvese”.

Prof. Domenico Calderone

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