IL VIRUS DELL’OPULENZA di Giuseppe Giannini

Pubblicato su comune_info.net il 24.03.2020

Un nemico invisibile si aggira per le strade.
Questo è quello che ci raccontano medici, politici e giornalisti.
E’ tempo di rintanarsi, è il momento dell’isolamento.
Il linguaggio ufficiale parla di morti, malati e zone rosse.
Assistiamo, inermi, alla militarizzazione delle nostre vite.
“E’ necessario” ci dicono, se vogliamo tutelare la nostra salute e quella degli altri.
Nei fatti, questo è un racconto parziale: pochissimo spazio viene dedicato alle centinaia di migliaia di lavoratori che ogni giorno ammassati sui mezzi pubblici e con scarse tutele nei luoghi di lavoro svolgono mansioni che non hanno nessuna utilità pubblica, se non quella di portare utili a qualcuno che approfitta della contingenza (gli operai FCA, i lavoratori di Amazon…), ma anche i riders, i corrieri, rischiando così di contaminare ancor più persone.

Invece, ci viene raccontato che i contagi sono dovuti alla irresponsabili dei tanti che vanno a correre o semplicemente a fare due passi.
Si, è vero, ci sono stati comportamenti disdicevoli, cosa dire delle migliaia di persone a cui è stato consentito di assalire treni ed autobus e scendere al centro-sud, di fatto contagiando tante altre persone?
Vi sono evidenti responsabiltà politiche, ad iniziare da quelle del ministro della salute, che aveva rassicurato tutti, (in un’altra fase si avrebbe dovuto dimettersi o ci sarebbe stata una mozione di sfiducia), per proseguire con la presunta efficacia degli altri provvedimenti intrapresi a livello centrale e periferico – le ordinanze che limitavano alle diciotto l’apertura dei bar, o quelle che riguardavano solo gli studenti che provenivano dalle zone interessate.
Ci sono poi pareri ed interessi discordanti nel mondo scientifico: la gara a chi ha scoperto prima l’efficacia del farmaco anti-artrite, o il fatto se sia più opportuno fare i tamponi agli asintomatici. (A proposito perchè mascherine e tamponi non sono sufficienti e poi si scopre che ben 500.000 tamponi sono stati spediti negli Usa?).
Perchè non utilizzare le strutture e i macchinari esistenti invece di crearne di nuove in modo da dirottare fondi alla sanità privata?
Sulla efficacia della sanità italiana incidono inoltre i decennali tagli fatti in nome del rigore.
La cosa certa è che gestire questa situazione è complicato, anche nelle zone più ricche, che poi sono quelle maggiormente colpite (la pianura padana dove gli altissimi tassi di inquinamento colpiscono le difese immunitarie dei malati cronici e degli anziani).
E’ evidente che tutto questo coacervo di interessi politici – la deriva nazionalistica -, economici e del mondo scientifico mina la loro stessa credibilità.


Negli altri paesi le modalità operative, purtroppo, sono state le stesse.
I nostri governanti, quindi, abdicano alle loro funzioni, predominano gli interessi economici e, in questo caso, anche la razionalità tecnica (il biopotere dispiega i suoi effetti), scoprendo di avere un ruolo solo nel monopolio dell’uso della forza.
Si è creata una situazione di stato di emergenza permanente, legittimata dalla particolare situazione, a cui occorre porre in essere un costante contropotere di critica e di vigilanza, per evitare il cristallizzarsi di situazioni, che con il passare del tempo, possano consolidarsi pericolosamente anche nelle menti e nel modo di pensare alle relazioni.
Infatti, questi signori non si pongono la questione della salvaguardia delle specie viventi, questa opzione è posticipata, è rimandata al prossimo virus.
E, allora, in tempi eccezionali come questi assistiamo ad una narrazione tossica.
Un bombardamento mediatico che rimuove le cause e focalizza l’attenzione sulle conseguenze.
Siamo in guerra! Il discorso dominante utilizza la terminologia tipica di questo stato, con una leggerezza che impressiona; le immagini parlano di aree isolate, militari, bare.
Un imponente sforzo di uomini e mezzi (ora anche economico grazie al quantitative easing di mille miliardi della BCE) per arginare e alla fine (si spera) debellare il nemico comune.
Un nemico intangibile, per il quale non esistono muri o recinzioni, che abbatte i confini, palesando tutte le contraddizioni dell’epoca che stiamo vivendo.
Il dominio dell’uomo sulla natura (antropocene) ha creato e prodotto un modello che è incompatibile con la permanenza della vita sul pianeta.
Solo pochi mesi fa le notizie degli incendi in Australia e dello scioglimento dei ghiacciai.
Sono decenni che la terra ci manda dei segnali: cambiamenti climatici, scomparsa di intere specie viventi, fenomeni estremi, attacco alla biodiversità, pandemie.
Aver intaccato gli ecosistemi, per favorire un modello di sviluppo votato alla crescita infinita, basato sulla competizione e l’individualismo, oltre ad aver inasprito le differenze sociali e aver messo a repentaglio le risorse, ha di fatto generato virus e batteri, che oggi ci presentano il costo di tali scelte scellerate.
Questa esperienza dolorosa però può essere anche un’occasione: quella di cogliere l’opportunità per ripensarci in maniera diversa.
Capire che non siamo tutti uguali, non ci accomuna la bandiera o l’inno nazionale ma il fatto di abitare lo stesso spazio-mondo.
Il compito che abbiamo, allora, è quello di lottare per eliminare le diseguglianze, dobbiamo immaginare una vita che non sia solo la sua messa al lavoro e possibilmente affrancarla dal progresso tecnico.
E’ tempo di spezzare le catene e creare una vera società conviviale.

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