L’SOS lanciato quotidianamente dai nostri “anoressici” Comuni privi di figure specialistiche ripropone una economia lucana ferma e con bassa crescita del mercato interno dovuta soprattutto alla stagnazione patogena dei salari.
Con questi seri presupposti il PNRR sbandierato come strumento di sviluppo e di innovazione completato da un Piano Strategico lucano carente sia nella pianificazione territoriale (del tutto assente) sia nella “condivisione” partecipata delle Amministrazioni locali si avvia ad un fallimento “annunciato”. La Meloni nella sua semplicità ci ha informato che oltre centodieci miliardi di investimenti infrastrutturali PNRR sono le “incompiute” storiche. Basta enfasi senza una struttura e un ordine più o meno saldi e funzionali.
La presenza di grandi siti industriali come Stellantis e Centri OLI “ENI e Total” ha generato da decenni una economia drogata con un falso PIL regionale (sempre ignorato dal Centri Studi della Banca d’Italia) ed ha calpestato brutalmente la bella “pedagogia” economica, posta in essere dalle piccole e medie imprese industriali e artigianali degli anni novanta.
IL PNRR in Basilicata non si discosta da quel modello anni settanta con le sue “Cattedrali ”nel deserto. Non a caso i grandi insediamenti non hanno mai creato i presupposti di una industrializzazione estensiva generalizzata e uniforme, hanno solo accentualo gli squilibri territoriali.
L’aumento dei consumi interni è stato alimentato dall’enorme sperequazione nella distribuzione del reddito tra differenti classi e ceti sociali che ha creato il mercato per i nuovi beni la cui produzione e vendita è particolarmente vantaggiosa dal punto di vista del solo profitto con tante distorsioni nella scala dei consumi.
Come cinquant’anni fa il PNRR sta imponendo la scelta dei settori di investimento e la utilizzazione delle risorse di indirizzo dei soli gruppi monopolistici.
L’industrializzazione, lo sviluppo agricolo, l’innovazione non appaiono come obiettivi generali del PNRR. Appaiono, invece, come riflesso dello sviluppo capitalistico/imprenditoriale in atto e l’intervento pubblico soltanto come necessario supporto di esso.
Perciò come cinquant’anni fa il PNRR di oggi non metterà in moto alcun sistema autonomo e autopropulsivo di sviluppo da consentire un progresso socio-economico anche senza l’intervento pubblico.
Come nel 1950 con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (L.646)il sogno dell’intervento aggiuntivo resterà una vera chimera. Lo dimostra l’utilizzo delle risorse dei “Fondi di Sviluppo e Coesione” slegati dal contesto generale del PNRR.
Vorrei ricordare che l’espansione monopolistica riproposta dal PNRR anziché sopprimere la scarsità, la disloca e la riproduce a diversi livelli : la priorità ai beni di consumo opulento ha significato in Italia, oggettivamente, un minor numero di ospedali (oggi addirittura dismessi), di scuole, di crisi degli alloggi; ha significato l’insufficienza delle risorse pubbliche disponibili per la lotta contro l’inquinamento, per creare attrezzature collettive, necessariamente non redditizie; ha significato la necessità di costruire arterie di rapida circolazione , autostrade e alta velocità limitata e riservata solo al NORD. La mitologia dell’industrializzazione monopolistica ha emarginato la parte più valida della nostra stupenda agricoltura strozzata dalla concorrenza dei paesi del bacino mediterraneo e subordinata vergognosamente ai gruppi industriali.
Per queste serie motivazioni le soluzioni tecniche paracadutate dall’alto non servono se non sono sostenute da una maturità politica e da una partecipazione attenta delle amministrazioni locali e delle loro popolazioni.
Come sociologo di strada e studioso dei movimenti politici delle aree interne del Mezzogiorno mi preme richiamare l’attenzione sui nostri vecchi CPU (Comitati Popolari Unitari) anni settanta.
Vi sono le condizioni per riproporre oggi con la crisi strutturale dei Partiti e con una Sinistra “fusa” e “sfusa” un tale modus operandi?
La risposta a tal riguardo sorge spontanea…NO! Non ci sono le condizioni.
Armando TITA
Sociologo