Le morti sul lavoro

Le morti più crudeli, più ingiuste, più tremende .

La morte del quarantunenne lucano Raffaele Ielpo morto schiacciato a diciotto metri di profondità ci rattrista e ci sgomenta.

Calato il sipario su Matera registriamo la routine dei nostri giorni…noiosi e apatici.

Purtroppo mai potevamo immaginare l’ennesima morte bianca lucana all’inizio del 2020.

Il tutto vissuto tra indifferenza e qualche comunicato giornalistico freddo, senza pathos.

Sono lontani quei tempi vissuti con tante giornate di solidarietà in una “osmosi” seria tra società civile e società religiosa lucane.

Memorabile fu la Giornata vissuta a Potenza con Vescovo Superbo e tanti giovani. Oggi l’oblio assoluto.

Tanta sensibilità e tante “premure” delle cosiddette agenzie educative dell’epoca, Chiesa, Scuola e Famiglia verso queste immani tragedie familiari.

Da anni, purtroppo, assistiamo al “deserto”.

Il nostro Vescovo e i Vescovi lucani e le Sardine lucane hanno poco tempo da dedicare alle morti bianche, alla sicurezza sul posto di lavoro e alla precarietà degli ultimi, dei giovani laureati, ignobilmente sfruttati e umiliati da professionisti senza scrupoli, dei nostri stagionali nei campi e nei cantieri pagati con estremo ritardo.

L’ennesima morte sul lavoro di un operaio , di un padre di famiglia ha già esaurito in un sol giorno il suo ciclo di attenzione.

Siamo tutti orientati verso i nuovi ritrovi e le feste del mese. I morti sul lavoro e nei cantieri e le morti bianche in agricoltura possono aspettare.

Come sempre l’opinione pubblica e la stampa locale dedicano un solo giorno e un solo striminzito servizio sulla morte del povero lavoratore.

Sembra di rivivere in Basilicata il post-sisma degli anni ottanta. Aumentavano le occasioni di lavoro diminuiva la sicurezza nei cantieri.

Oggi ,purtroppo, siamo in presenza di un patogeno risvolto, siamo senza lavoro e aumentano a dismisura le morti sui cantieri.

Ricordo che la lentezza istituzionale nel campo della sicurezza era stucchevole.

Mentre un mondo della formazione e della sensibilità approfondivano il dibattito sulla sicurezza, non solo, in termini di impianti, attrezzature e strumentazioni , ma, soprattutto, di “risorse umane”

con le figure emergenti dell’epoca, i cosiddetti security manager, le istituzioni erano assenti e del tutto indifferenti .

Abbiamo dovuto attendere oltre un decennio per avere una legislazione di riferimento. La famosa “626” del 1994.

Nessuno si è reso conto che l’occupazione effimera , lo stupro dei diritti dei lavoratori perpetuati con una terrificante legislazione fatta di Pacchetti Treu e di Jobs act ha dato il là non solo alla precarietà

patogena , ma, soprattutto, alla mancanza assoluta di sicurezza sul posto di lavoro.

Riprendere in Basilicata, caro Massimo , la stagione del Security Manager in ogni azienda è importante .

Avere una “Carta della sicurezza” rispettosa della 626 non è più procrastinabile.

Riprendere il dialogo con le Istituzioni e sancire un nuovo Patto tra Regione, Associazioni datoriali e sindacali sulla sicurezza è d’obbligo alla luce di tanti morti innocenti e giovani padri di famiglia

ingiustamente dimenticati e “obliati” da una opinione pubblica e dai mass media lucani, ignobilmente, distratti sulla gravissima ed emergenziale problematica .

Incoscienza, Indifferenza, Insensibilità che fanno impallidire i pochi lucani dotati di bontà e di buona volontà devono essere per sempre bandite.

In questo campo la Regione non ha più riproposto e “imposto” come avveniva nel passato un modulo formativo mutuato sulla sicurezza.

Da tempo immemore ha assunto un ruolo di puro spirito notarile o di mero “ufficiale pagatore”, non esistono più controlli efficaci .

In queste condizioni sarà difficile riproporre la figura del security manager.

Un ultimo richiamo, un ultimo appello.

Sarebbe bello se ci fosse nelle prossime settimane un semplice e umile minuto di raccoglimento e di riflessione sulle morti bianche sia nelle funzioni religiose sia nelle assemblee delle sardine lucane e scolastiche .

Per non dimenticare. Non chiediamo di più.

Mauro Armando Tita

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