l talent show è uno dei tipi di programmi che più ha saputo combinare elementi vecchi e nuovi della televisione italiana. Se non consideriamo le più recenti derivazioni culinarie di queste trasmissioni (in assoluto l’elemento più inedito, vista la grandissima popolarità e l’enorme sdoganamento della cucina in televisione in ogni sua sfaccettatura), i talent non hanno fatto altro che rielaborare, rimodellare e riconfezionare un rapporto che, forse, è esistito sin dal lontano 1954, anno in cui il Programma Nazionale cominciò ad entrare nelle case degli italiani, ossia quello tra musica (soprattutto popolare) e televisione.
La musica in televisione ha sempre avuto delle declinazioni e delle sfumature ben diverse, che si sono aggiunte e rimosse nel corso dei decenni: è stata un’istituzione (pensiamo soprattutto al Festival di Sanremo) o, comunque, la modalità di raccontare storie, passioni e sentimenti di un’Italia che sentiva la necessità di disimpegno e svago (Studio Uno, Canzonissima); è stata l’oggetto di disputa e il patrimonio personale (e popolare) con cui ognuno poteva mettersi alla prova in giochi senza esclusione di colpi (pensiamo a Il Musichiere o al più recente Sarabanda, programma di culto dei ventenni e trentenni di oggi); è stata, infine, la protagonista assoluta e straripante di reti televisive che hanno diffuso gusti e consumi globalizzati e indirizzati al pubblico giovanile, creando una generazione sempre più abituata alla resa grafica patinata e laccata del videoclip (le iniziatrici furono Videomusic e Rete A, che si evolvettero in MTV e All Music per poi arrivare alle reti legate alle emittenti radiofoniche).
In un panorama così vasto, in cui la musica in televisione ha fatto storia, ha modificato, rappresentato, plasmato e diversificato i gusti di numerose generazioni, il talent come ha riproposto questo indissolubile binomio? Come dicevamo all’inizio, ripescando qualcosa di vecchio e creando qualcosa di completamente nuovo. Di vecchio ha senz’altro riproposto la gara e il meccanismo del gioco, senza cancellare quello dell’interazione con un pubblico in studio/giudice popolare delle esibizioni.
Di davvero nuovo, però, cos’ha il talent? Dire che è un programma che diversifica ancora il gusto musicale del pubblico giovane è riduttivo, perché sappiamo ormai che il talent show è un tipo di trasmissione che sa parlare a tutti: è un grande circo mediatico che, più che far soltanto emergere la bravura, la capacità o l’estensione vocale dei suoi concorrenti, fa diventare la musica parte integrante della propria storia personale, delle proprie passioni, della propria vita. La musica del talent ormai non è più uno strumento di diversificazione tra giovani e adulti, ma vuole essere la valvola di sfogo, il punto di svolta di una vita in cui la televisione ha i giusti strumenti e le strategie appropriate per realizzare i propri sogni nel cassetto. Nessuno canta soltanto per cantare, ma sale sul palco per raccontare al mondo una propria storia alla quale la musica dà forma e colore e dà quel senso di verità e autenticità che ricerchiamo sempre di più nei programmi televisivi.
Il talent, perciò, ha modificato il binomio musica-televisione nella direzione dell’espressione dei sentimenti e dei vissuti: la musica trasmette, costruisce e autentica la storia di ognuno, che, grazie a una televisione sempre più amante della realtà e della sua esibizione, vuole trasparire nell’eccezionalità di una vita quotidiana che fa tanto da cornice quanto da protagonista assoluta. Proprio per questo il talent è sia vecchio sia nuovo: nella sua comunicazione estremamente passionale e legata alla narrazione (elementi ormai all’ordine del giorno nei media attuali), riesce a rifondare quell’idea di nazional-popolare che solo la musica, nei suoi 60 anni di riproposizione e presentazione nella TV italiana, ha saputo mostrare fino in fondo.
Francesco dr. TITA
Social Media Manager e Autore del Volume: “Il talent show” Ed. IL SEGNO