I figli degli emigranti degli anni cinquanta
In questi giorni impazza la notizia del quotidiano conservatore spagnolo ABC (i miei ricordi adolescenziali sono fermi al settimanale italiano ABC rivista “erotica”) su un presunto finanziamento al Movimento cinque stelle (Casaleggio senior) del “Chavismo” venezuelano.
Il documento prodotto è certamente un falso perché all’intestazione del Ministero della Difesa manca il Potere popolare (Ministero de la Defensa del Podel Popular) “obbligato” per qualsiasi documento scritto delle autorità venezuelane odierne.
Il Movimento cinque stelle non ha mai nascosto la simpatia per Chavez e per il suo governo populista.
Non abbiamo mai perdonato la terribile gaffe di Di Maio che individuava il sanguinario generale Pinochet come dittatore del Venezuela.
Il Venezuela ci appartiene lo diciamo agli smemorati delle istituzioni di ieri e di oggi.
Appartiene a una intera generazione post bellica italiana e lucana, in particolare.
Dal 1946 al 1976 gli italiani emigrati in Venezuela erano oltre 260mila, al contrario, nel precedente trentennio 1915/45 erano appena 5291.
Questi dati richiamano alla memoria il sogno post-bellico degli italiani in Venezuela.
Decine di Migliaia sono i lucani partiti negli anni cinquanta , migliaia sono le vedove bianche che non hanno rivisto i loro mariti per “sopraggiunti” matrimoni.
Molti italiani e tanti lucani hanno formato nuove famiglie italo-venezuelane dimenticando le mogli e i loro figli piccoli. Le vedove bianche, donne di dignità e di coraggio, non hanno mai denunciato questa terrificante “bigamia”, hanno sopportato e ingoiato tanti bocconi amari.
E’ un capitolo triste che dobbiamo rimuovere per il bene dei tanti figli ,ora settantenni, che preferiscono non parlarne. E’ un dovuto rispetto da parte nostra.
Io sono figlio di emigrato venezuelano come lo è stato Vincenzo De Luca, governatore della Campania e le tante centinaia di ragazzi lucani degli anni cinquanta.
La colonia più forte di emigrati lucani in Venezuela ( nella mia area) era rappresentata dai Comuni di Pescopagano, Ruvo del Monte, San Fele e Rapone.
Grazie all’esplosione della sua economia petrolifera e mineraria il Venezuela divenne attrattiva.
Gli emigrati lucani in prevalenza artigiani dettero vita a una diffusa presenza non solo nell’industria petrolifera(mio padre era carpentiere alla Shell)ma anche nella piccola e media impresa manifatturiera senza mai dimenticare la presenza delle grandi imprese italiane che realizzarono complessi residenziali importanti nel settore delle costruzioni, in primis, a Caracas. La città in quegli anni passò da 700mila a 1,4 milioni di abitanti. I nostri padri ci hanno raccontato che il dittatore venezuelano Marcos Pérez Jimenez amava gli italiani e consentì loro di costruirsi una nuova vita , lasciandosi alle spalle miseria e macerie del dopoguerra. Va ricordato che nel gennaio 1958 cade la dittatura di Marcos Pérez Jimenez e iniziano le” disgrazie” per i nostri emigrati, si interrompe bruscamente la condizione di particolare sintonia tra i governi venezuelani e i maggiori rappresentanti della collettività italiana.
Ho ritenuto opportuno riproporre una pagina inedita dell’emigrazione italiana e lucana in Venezuela per recuperare, da “figli d’arte”, ormai settantenni, i veri valori dei “Lucani nel mondo”, stanchi come siamo di essere stati sempre, ignobilmente, ignorati.
Sarebbe bello rivivere una giornata di ricordi e di solidarietà tra i figli di emigrati degli anni cinquanta, oggi, tutti settantenni, e i nipotini presenti nei vari raduni della Regione Basilicata.
Siamo stanchi di essere “testimoniati” da persone che hanno vissuto l’emigrazione solo dai documentari e/o dalle Teche Rai. Chi non ha vissuto sulla propria pelle non potrà mai capire il dramma dell’emigrazione, delle vedove bianche, e, soprattutto, quel dramma che non si è mai ricomposto e mai sanato completamente nei rapporti padre/figlio/a.
Quante delusioni e quante amarezze per i figli di emigranti costretti a riconoscere da adolescenti o da adulti dopo decenni di lontananza l’ingombrante figura paterna del tutto estranea al nucleo familiare, ormai, consolidatosi nel tempo.
Oggi mi sento di fare un plauso alla Provincia Autonoma di Trento che ha posto in essere uno stupendo percorso di solidarietà ed ha raccolto la ricchezza delle storie di vita delle donne migranti nel Trentino.
Un Percorso che ha messo in evidenza l’intreccio costante tra migrazioni e vicende familiari, così come le difficoltà, prima di tutto emotive, che nascono da questo intreccio.
Mauro Armando Tita