Basilicata, Ruvo e… cambiar cultura non è questione di soldi
Gli inglesi lo chiamano Skyline letteralmente linea del cielo, più comunemente lo si può definire profilo del panorama.
La Lucania, col tempo, ci ha insegnato a convivere con innumerevoli e mutevoli skyline.
Il crinale delle alture si è popolato di pale eoliche, le piane di fumanti comignoli e le città di antenne e palazzi sempre più alti.
In tutto il mondo ci sono invece dei luoghi dove il tempo ha conservato intatto il profilo di uomini e cose.
In gergo turistico li chiamano borghi quasi a voler serbare, a differenza alle più comuni locuzioni “città” o “paese”, una sorta di “riguardo etimologico” per quello che resta di una storia di fasti e di tradizioni storico culturali ormai desuete e quasi appannaggio di una sempre più ristretta cerchia di cultori.
La definizione di borgo richiama quella di città fortificata ma anche di torre dal greco pyrgos: “Il paese è dominato da una robusta torre Angioina” leggo sul sito ufficiale del Comune di Ruvo del Monte.
Dico allora tra me e me …. mi trovo in uno di quei posti che le guide turistiche da bancarella chiamano “borgo”, ben presto però il mio entusiasmo di spegne continuando a leggere dal sito istituzionale “…..ormai fatiscente e in pericolo di crollare”.
E penso dove è finito il rispetto per la propria storia, per le proprie origini, in una parola per se stessi laddove girando per l’Italia dei cento borghi mi ritrovo a leggere di “garantire, valorizzare e conservare il fascino dell’Italia Nascosta.
Cosi ricorro alla matematica e tra i famosi cento borghi inizio a contare così mi ricordo di uno studio condotto dall’università di Bologna intitolato “Divario tra nord e sud Italia, nuove risposte a una vecchia questione”, in questo studio si legge “anche eliminando l’effetto dei diversi vincoli strutturali o istituzionali, gli italiani del nord e del sud si comportano in modo diverso quando si tratta di fidarsi degli altri o di rischiare del proprio per collaborare con gli altri”.
Ed ancora, nel cercare di spiegare perché gli italiani del sud si rivelano meno cooperativi, lo studio fornisce risultati inattesi: “ questa particolarità pare non sia da attribuirsi a differenze nel ‘capitale sociale’ e, tantomeno, al ‘familismo amorale’, ossia la tendenza a trascurare gli interessi collettivi per promuovere quelli della famiglia ristretta.
Sarebbero stati il maggior numero di conflitti violenti verso nemici esterni che nell’ultimo millennio hanno attraversato la miriade di stati e di città nel Centro Nord a promuovere una maggior capacità cooperativa, “mentre per il Sud che è stato largamente pacifico e unito per quasi un millennio, riuscire ad andar d’accordo con gli altri è stato, paradossalmente, un bisogno meno pressante; inoltre, la colonizzazione spagnola e i tentativi falliti di rovesciarla possono aver ulteriormente minato la fiducia al Sud”.
All’origine del divario vi potrebbe essere un circolo vizioso tra arretratezza e senso di impotenza generato dalle tante esperienze storiche negative. “La cattiva notizia è che cambiar comportamenti così a lungo sedimentati non sarà certo facile, ma la buona notizia è che cambiar la ‘cultura’ non è una questione di soldi!”.
Ho deciso di condividere questo pensiero, questa breve ricerca regalando quest’ultima frase a chi oggi si sente pioniere di cultura e sa guardare avanti senza dimenticare il passato.
Daniele Masiello